TESTIMONIANZA SU NUCCIA TOLOMEO
                  di Anna Iacopetta
                  
                  Considero un privilegio aver potuto percorrere con Nuccia alcuni anni della mia vita.
                  Grazie a Don Franco Munizzi, allora parroco della chiesa di S. Maria del Rosario in
                  Catanzaro Sala, ho avuto la gioia di conoscere questa sorella. Ricordo che la prima volta che
                  la vidi, di lei mi rimasero impressi gli occhi luminosi e pieni di gioia, non sembrava per niente
                  una persona malata e straziata. Il suo corpo era contorto, era piena di dolori, a volte
                  cominciava a tossire fino a soffocare, ma, passata la crisi, era di nuovo serena e pronta a
                  dialogare o a pregare.
                  Quando arrivavo, mi accoglieva con una gioia così grande, che mi faceva sentire
                  unica. Non abbandonava mai la coroncina del S. Rosario, che teneva sempre fra le dita.
                  Sgranava i piccoli grani, mettendo sempre intenzioni per le persone, che le chiedevano aiuto e
                  preghiere, e per tutti i mali e gli avvenimenti del mondo, sia civile che ecclesiale.
                  Nuccia viveva nella sua casetta, ma andava nel mondo, diceva di volere essere le
                  mani, i piedi, il cuore di Gesù; lei che di questi arti aveva solo l’accenno, neanche un po’ si
                  è fermata. Scriveva sempre sulla parola di Gesù e amava tutti come Gesù. Amava la chiesa, il
                  Santo Padre, i vescovi, i sacerdoti.
                  La sua preghiera era sempre viva e presente. Ci invitava ad amare i sacerdoti,
                  dicendoci che erano uomini, che avevano accettato di assumersi le croci di molti, come Gesù.
                  “Facciamo che con la nostra preghiera si sentano amati”. Quando un sacerdote entrava
                  nella sua casa, lei non finiva mai di baciargli le mani. “Mani sante che assolvono, che
                  portano Gesù, che amministrano i sacramenti”, diceva. Molto spesso ci chiamava a
                  raccolta, perché voleva che pregassimo per qualche intenzione particolare. Nei tempi forti
                  dell’anno liturgico, avvento e quaresima, ma anche nel mese di maggio, organizzava dei veri e
                  propri incontri di preghiera. La sua casa era diventata chiesa, ci si trovava anche a celebrare e
                  lei era così felice, che diceva di non essere degna di tutta questa grazia.
                  Lei consolava, aiutava, consigliava, incoraggiava, ammaestrava. Nuccia era saggia, di quella
                  saggezza spirituale propria di chi è posseduto dallo Spirito Santo, una effusionata per
                  eccellenza. All’inizio di ogni preghiera non mancava mai l’invocazione allo Spirito Santo.
                  Nuccia amava chiunque la andasse a visitare e non dimenticava mai nessuno. Era
                  l’amica, la confidente, la madre spirituale di tutti noi. A volte ridevamo, fino alle lacrime,
                  quando lei esprimeva le sue ultime volontà. Ci esortava a non sentirci mai soli, qualora ci
                  fosse stata una sua dipartita, poiché lei avrebbe chiesto a Gesù qualcosa che non le avrebbe
                  potuto negare, quella di custodirci e di curarci sempre. E siccome in paradiso non ci sono
                  paralitici e il corpo più non le serviva, sarebbe giunta veloce senza alcuna fatica.
                  Nuccia amava pensare di saper volare. Infatti, amava le rondini; diceva che erano
                  creature libere, felici e assennate. Amava tutto quello che il Signore aveva creato. Aveva la
                  fantasia fervida dei santi e la semplicità dei poveri di spirito. Ma il suo sapere era di alta
                  teologia, trovava le risposte ad ogni domanda, cercando i brani del Vangelo e paragonandoli
                  ad ogni esperienza.
                  Quando conobbe Federico ed ebbe la possibilità, attraverso Radio Maria, di poter
                  parlare con i fratelli ristretti, con i giovani, con tutte le persone che ascoltavano la
                  trasmissione, diceva di voler portare Gesù, soltanto Gesù e l’amore che da Lui aveva
                  ricevuto e che riceveva ogni giorno.
                  Amava la Madonna e la chiamava: “Mammina mia Bella”.
                  Nuccia non si è mai lamentata, non si è mai arrabbiata o ribellata per la sua malattia.
                  Neanche un po’ ha colpevolizzato Gesù. Ma sapeva soffrire ed offrire. Per me è stata maestra
                  di vita nel vivere la sua sofferenza e nella gioia dell’offerta costante.
                  Gli ultimi istanti della sua vita, io ero vicina al suo capezzale, la prima cosa che mi
                  chiese fu: “FAMMI PORTARE GESU’, VOGLIO GESU’”. E dopo averLo ricevuto si
                  abbandonò con fiducia nelle braccia di Colui che aveva sempre amato e servito.
                  Grazie, Gesù, per avermi dato Nuccia come esempio.
                  Molto spesso mi ritrovo a pensarla nei momenti di fragilità, di prova, di sofferenza, ma
                  anche di gioia e sono sicura che un giorno ci ritroveremo, perché quello che il Signore
                  promette lo mantiene.
                  Anna Iacopetta
                  Catanzaro 2 aprile 2007